Mondazzi - Ne Valeva la Pena?

NE VALEVA LA PENA?

Riflessioni di un giovane d’altri tempi Siamo nell’epoca della comunicazione. Esistono in ogni dove mezzi di propagazione. Siamo bombardati da messaggi pubblicitari. In tutte le reti televisive e radiofoniche vi sono trasmissioni di approfondimento. Eppure, paradossalmente, la maggior parte di chi è preposto a diffondere le notizie fa gara per parlare e scrivere in modo incomprensibile. Tutto ciò m’induce sovente a riandare con la fantasia al tempo in cui quelli che erano depositari del sapere mi presero per mano per guidarmi sulla strada della conoscenza. Coloro che si diedero la briga per ficcarmi nella zucca i rudimenti della lingua italiana: le regole grammaticali, la sintassi, le faticose analisi logiche, la facoltà di esprimere le proprie opinioni; quelli che s’ impegnarono per prepararmi ad affrontare i problemi dell’esistenza e contribuirono con il loro lavoro didattico e formativo a fare di me quello che sono. In queste scorribande del pensiero m’immagino d’incontrarli per esprimere loro le mie considerazioni e conseguenze su quanto elargitomi.

Un consesso riunito attorno ad una tavola imbandita: io, finalmente adulto, anzi senior e loro fermi nelle sembianze che sono rimaste nella memoria: Massi, Fantini, Mezzanotte, Calò, Dardi, Rossi. Ed eccomi parlare amabilmente con la Signora Maestra, l’insegnante della prima elementare, quella delle aste. Era il tempo in cui uno stravagante e “illuminato” burocrate, per compiacere quel camerata di Dovia (frazione di Predappio in provincia di Forlì), fondatore dell’Impero, che proclamandosi Duce era diventato allergico al colore rosso e a tutto ciò che richiamava la sinistra, dispose che si dovessero educare le generazioni, per il futuro glorioso della Patria, ad usare assolutamente la mano destra per scrivere. Purtroppo io, povero timido sprovveduto, avevo il torto di essere mancino e non ne volevo sapere di usare la mano destra per tracciare quelle linee verticali e la Signora Maestra con il piglio severo che la distingueva, provvide ad immobilizzare quell’arto ribelle causandomi un terrificante complesso d’inferiorità che ho faticato le proverbiali sette camicie per affrancarmene. Allora, fra un manicaretto e l’altro le direi: <Signora Maestra, ma ne valeva la pena? Lo sa che ora vi sono innumerevoli mancini e nessuno ha da ridire sulle loro abitudini manuali? Certo “Voi” vi uniformavate alle disposizioni del Minculpop (ministero della cultura popolare) che si era proposto, secondo il volere di quella Camicia nera di Dovia, di educare ed epurare la gioventù del Littorio da ogni difetto, ed essere mancini voleva dire essere diversi. Disgraziatamente quei soloni si erano scordati che un certo figlio illegittimo ch’ebbe i natali in quel di Vinci non solo era mancino ma scriveva anche nel verso contrario: da destra a sinistra! Eppure veniva, e viene, considerato un genio universale.

Non solo lui, anche il potente condottiero romano Caio Giulio Cesare e l’augusto imperatore Tiberio, il sommo scienziato Aristotele, Carlo Magno, Michelangelo, Raffaello, Alessandro Magno, Napoleone, tanto per citarne alcuni, erano mancini!> Proseguendo nella mia onirica fantasia, ecco il secondo personaggio: il Camerata, capitano della GIL (gioventù italiana del littorio), che mi prese in carico alla terza elementare e mi guidò fino agli esami di ammissione alla scuola media. Dopo un sorso di nettare di Noè così vorrei dirgli: <Signor Maestro “Voi” ora vi trovate là da dove non si torna se non per il giudizio universale. Vi ricordate? sono quell’incapace che non riuscì a disegnare correttamente la “M” mussoliniana e per quella eretica mancanza mi costringeste a starmene per lungo tempo sull’attenti, con il braccio teso nel saluto romano, davanti all’effige del Duce. Tuttavia vi sono grato perché devo a “Voi” l’entusiasmo per le imprese dell’impero romano, il rispetto e l’ammirazione per gli eroi del risorgimento e della prima guerra mondiale, l’esaltazione del sacrificio di tante anime elette: Giambattista Perasso detto Balilla, Goffredo Mameli, Pietro Micca, Nazario Sauro, Cesare Battisti, Francesco Baracca, Enrico Toti, Antonio Sciesa, i fratelli Cairoli di Villa Glori e i 110 martiri di Belfiore; riconoscente per aver appreso e apprezzato la storia d’Italia e l’amore infinito per il Tricolore. L’amore per la nostra lingua che definiste la più musicale del mondo e l’orgoglio di appartenere al Paese con il più ricco tesoro di opere d’arte. Certamente tutto condito da molta retorica come era consuetudine ai quei tempi, ma ne valeva la pena? Ora tanti si vergognano di essere italiani.

Certi “eroi fasulli” hanno osato bruciare quel simbolo della Patria, per la quale migliaia di soldati, fra i quali il mio babbo, hanno sacrificato la vita; altri hanno invitato, addirittura, a gettarlo in un sanitario domestico e nessuno, dico nessuno di chi è preposto alla tutela dell’onorabilità del nostro Paese, ha avuto l’ardire di stigmatizzare quell’invito sacrilego in nome di una mal intesa libertà di opinione! E la nostra lingua? Maestro i “figli della perfida Albione” si sono presi la rivincita! Hanno colonizzato la nostra lingua e poco, a poco la stanno riducendo a un semplice dialetto locale.> Siamo quasi alla frutta. Assaporando una prelibata scheggia di reggiano con una goccia di miele mi intrattengo amabilmente con un indimenticabile personaggio della cultura nostrana ch’ebbi la fortuna di averlo come impareggiabile educatore: l’esimio Prof. Dardi, medaglia d’argento al valore militare e medaglia d’oro al valore dell’arte e cultura, fondatore dell’Istituto scolastico che porta il suo nome. Fra uno schiocco di lingua e l’altro gli direi: <Professore, Lei si dette la briga d’insegnarmi oltre la partita doppia, la matematica finanziaria e il calcolo computistico, l’amore per l’Europa unita, in un disegno di speranza utopica sognata dai grandi di allora: De Gasperi, Adenauer, Spaak, Schuman, Spinelli, Churchill, che reduci da quella grande tragedia che fu la seconda guerra mondiale, di cui noi ragazzi fummo ad un tempo vittime e protagonisti involontari, si accordarono per la costruzione di un grande popolo con gli stessi ideali di solidarietà e fratellanza e su questa speranza ci convinse con il suo pacato entusiasmo che saremmo stati noi, da uomini liberi, a costruire l’Europa del futuro. Ma ne valeva la pena? Ora l’Europa unita è una realtà, ma solo sulla carta; per il resto dei grandi ideali nemmeno l’ombra. Rimangono le lotte per la supremazia, le invidie, i tentativi di colonizzazione, se non territoriale certamente culturale e finanziaria a colpi di speculazioni economiche. Macché fratellanza: non è cambiato nulla professore, siamo alle prese con le dispute da condominio fra vicini di casa che si detestano...> Ed ecco i due insegnanti di “lettere”, quelli da cui ho appreso i valori del vivere nella società: l’insegnante invalido civile con una carica di umanità eccezionale; l’altro, severo oltre ogni dire, capace però di rendere affascinanti e coinvolgenti le sue lezioni.

Al primo, dopo aver assaporato un boccone di dolce, avrei detto: < Professore Lei riempì i miei elaborati con tanti segnacci rossi per i numerosi errori sia in italiano sia in latino. Indimenticabile quel maccheronico “caballus” per il quale mi beccai un “2” con un gigantesco “ASINUS!” e ancora quando ci assegnò la traduzione dell’ambigua frase “I Vitelli dei romani sono belli” e quasi tutti la traducemmo in latino non rilevando che la frase era già in quella lingua, avremmo dovuto intuirlo da quel “Vitelli” con la lettera maiuscola! Lei, disabile, m’insegnò a rispettare le persone meno fortunate di noi nati senza difetti fisici, ma con tante carenze etiche, educati nell’effimera convinzione della possanza atletica. Ma ne valeva la pena? Pensi che nel tempo in cui vivo i disabili vengono chiamati “diversamente abili”, ma molto spesso è questa la sola concessione fatta, infatti, sovente sono trattati a pesci in faccia dalla burocrazia imperante e il latino, madre del nostro musicale idioma, non viene quasi più inserito nei programmi scolastici.> Ed eccoci alla conclusione di questo simpatico e fantasioso convivio. Stiamo inebriandoci con l’aroma di un caffè corretto da un goccio della nostra acquavite e sto salutando l’ultimo insegnante ch’ebbi alla conclusione del mio percorso educativo. Un altro insegnante di lettere, severo al limite della sopportazione, ma con una passione per l’insegnamento che poche volte ho riscontrato. E allora ecco cosa gli avrei detto: <Professore a Lei devo, io lavativo incorreggibile, la passione per lo studio della nostra lingua e amante della letteratura classica, amore che mi ha portato a ricominciare lo studio del latino. Memorabile il suo tentativo di farci conversare nella lingua madre: divertente e utilissimo. Altrettanto appassionante la gara per scovare i vocaboli desueti che c’induceva a sfogliare il dizionario.

Lei mi fece apprezzare quel “I Promessi Sposi” come un romanzo d’avventura quale allora si potevano considerare solo quelli di Salgari e di Verne. E non è un sacrilegio questo accostamento. Sotto questo aspetto quello che gli insegnanti mi fecero considerare codesto capolavoro come un polpettone indigesto acquisì una veste nuova. Ma ne valeva la pena? Al giorno d’oggi se risorgesse, “el Sciur Lisander” dovrebbe andare a lavare i suoi panni nell’Avon, l’Arno non è più di moda, è irrimediabilmente inquinato! Sembra che le parole anglosassoni entrate di prepotenza nel nostro idioma siano trecento! Nel nostro quotidiano si sente correntemente: <day, convention, welfare, ma se tutto finisse lì, poco male: no! E’ stata votata la legge sulla “Privacy” e si sta ultimando l’iter per ilquella detta “Jobs act”, ci vedremosi ritrova durante il “coffee breaack” o la “happy hour”, la nostra “mission” è di ritrovarci uniti alla “convention” dove avverrà il “briefing” sulla “spending review”. Saremo invitati al “Seniority day”.> Abbiamo qualche difficoltà? Proveremo a rivolgerci al ministero del “Welfare”. Un ministro della Repubblica Italiana rivolgendosi alla platea di una conferenza disse che i giovani in attesa d’impiego erano troppo “choosy”.

Il risultato di tutto questo bailamme? “Pochi comprendono quello che sentono e ancor peggio quelli che lo dicono!” Moda? Mah! Confusione? Sì certamente. A presto carissimi insegnanti anzi: “I’m sorry! Goodbye dear teachers…” The illiterate man

Loris Mondazzi

 

A.N.L.A. Bergamo