Mondazzi - Riflessioni di un Giovane della Terza Età

RIFLESSIONI DI UN GIOVANE DELLA TERZA ETA’

PERCHÉ SONO ISCRITTO AD ALATEL SENIORES?

Un problema che affligge Alatel (ma è un fenomeno che accomuna quasi tutti i sodalizi) è la scarsa partecipazione e disamore dei colleghi, in servizio e non. Una questione che reiteratamente si dibatte nelle riunioni dei Consigli regionali e nazionale. Qualche giorno fa una società di sondaggio d’opinione, incaricata di suggerire eventuali soluzioni, ha posto la domanda: “Cosa dovrebbe fare Alatel per voi?”. Una domanda semplice, all’apparenza, in realtà è necessaria una profonda disamina per rispondere. Già cosa mai mi ha indotto a far parte, da ben 36 anni, di questo sodalizio? Mentre i colleghi rispondevano, io mi sono trovato ad andare indietro nel tempo, molto indietro, addirittura in pochi minuti ho ripercorso la mia parabola lavorativa e umana.

Tutto iniziò il 5 novembre 1952 quando diciannovenne (a quel tempo minorenne) entrai a far parte della “grande famiglia telefonica”. Al giorno d’oggi con l’etere affollato da onde di tutti i tipi, con la gente che disinvoltamente usa quell’aggeggio che è considerato un’appendice naturale, difficilmente può immaginare cosa rappresentasse entrare a far parte della particolare categoria dei telefonici. Nella compagine del mondo lavorativo venivano considerate “speciali” due branche: gli elettrici e i telefonici. Gli uni davano energia per l’industria e gli altri la parola, contribuendo a cancellare le distanze! Può sembrare romantico e patetico, ma i dipendenti non si consideravano dei semplici stipendiati ma componenti di una famiglia, e orgogliosi di esserlo. Particolarmente per me che ero orfano di guerra il “Magazzino Milano”, allora allocato nel semi rettangolo delle vie: Lazio, Vasari, Pier Lombardo, rappresentò un supplemento della famiglia e i colleghi, molto più anziani di me, padri putativi e maestri di lavoro e di vita: Codegoni, Zacchetti, Cenni, Magnoni, Panagini, Sanpietro, Crotti, Colombo, Albini, Ghezzi, Magugliani, Mariani, con Quaglia il responsabile. Da loro, Io con appena un principio di peluria sulle guance, appresi cosa fosse la solidarietà, l’amicizia e lo spirito di appartenenza. In seguito venni a conoscenza che tutti avevano contribuito a preservare gli impianti dalla distruzione bellica operata dagli occupanti in ritirata. Molti di loro avevano visto nascere la STIPEL (Società Telefonica Interregionale Piemontese e Lombarda), erede della SIP (Società Idroelettrica Piemontese).

A prescindere dalle idee politiche, tanti di loro facevano parte del “Gruppo anziani”. Una istituzione non codificata dei dipendenti telefonici che avevano alle spalle tanti anni di lavoro. Molti di loro avevano fatto parte della sparuta compagine dei pionieri della telefonia e si proponevano di trasmettere ai novellini l’entusiasmo e l’esperienza accumulata. Per rendere visibile l’esistenza del “Gruppo Anziani” facevano circolare un bollettino, ciclostilato, con le notizie essenziali della vita lavorativa. Proprio nel tempo, poco dopo la mia assunzione, fu istituito il “Premio fedeltà” testimoniato da un distintivo in oro e smalto blu riproducente il disco combinatore (giallo e blu, i colori sociali della Società telefonica) al quale seguì, negli anni 60 del secolo scorso, la fondazione dell’ALAS (Associazione Lavoratori Anziani Sip) con un suo atto costitutivo che codificava le finalità che sono quelle che ancora sono comprese nello statuto della ALATEL Seniores. Nel mese di marzo del 1978 il mio superiore diretto mi convocò e consegnandomi la tessera che confermava la mia appartenenza all’anzianato della Società telefonica mi disse: <Non è il caso di entusiasmarsi, non è un complimento né una gratificazione!> Invece proprio la soddisfazione e l’entusiasmo suscitò in me quel modesto cartoncino con l’immagine del disco combinatore. Esso attestava che anch’io ero entrato nel gruppo dei miei maestri, di quelli che con il loro insegnamento mi avevano permesso di raggiungere un discreto successo nel lavoro e nella stima dei colleghi e dei collaboratori. Quel pezzetto di carta rappresentava il cordone ombelicale che mi legava indissolubilmente alla società telefonica e ai miei carissimi colleghi. Come loro anch’io ho cercato di trasmettere a quanti hanno avuto la sorte di collaborare con me: l’entusiasmo, la solidarietà, l’amicizia e lo spirito di appartenenza. So per certo che tutto ciò sembrerà patetico ai colleghi attualmente in servizio e dal loro punto di vista può essere vero, ma ai tempi in cui ho vissuto anche per noi giovani, d’allora, era altrettanto arduo trovare un lavoro che soddisfacesse le aspettative. Tantissimi, con i numeri adatti a posizioni particolarmente gratificanti, erano costretti a lavori umili e sovente pagati in “nero”, quindi senza tutele assicurative, ma ci si adattava e quando, complici la fortuna e la buona occasione, si trovava il “posto fisso” ci si impegnava a conservarlo ad ogni costo. Era il tempo del tanto deprecato “Paternalismo” e bene è stato fatto a fare un passo avanti nei diritti, ma di quella condizione è stato buttato alle ortiche anche ciò che fu il fondamento dello sviluppo sociale delle grandi imprese industriali (FIAT, Olivetti, Ignis, Rizzoli, Mondadori, Barilla, Pirelli, Falck; tanto per citarne alcune). La passione e dedizione, non imposte, verso l’impresa in cui si operava.

Mi accorgo che mi sono dilungato oltre il lecito, ma a conclusione vorrei attirare l’attenzione degli attuali colleghi in servizio che se la Società Telecomunicazioni è diventata grande è innegabile il merito degli attuali anziani e di quelli che sono “andati avanti”. Per cui alla domanda “Cosa dovrebbe fare Alatel per me” La mia risposta è: “Nulla! Cosa, invece, posso fare io per Alatel?” L’amara risposta è <molto poco, purtroppo!>. Nella foga di rinnovamento seguita agli avvenimenti degli anni 70/80 alcuni personaggi e istituzioni hanno distrutto quel tessuto connettivo che legava gli operatori telefonici (e non solo telefonici) alla Società di appartenenza in nome di un discutibile processo propedeutico ad affrontare le sfide che si prospettavano nell’immediato futuro e quindi s’imponeva lo svecchiamento dei “quadri” dimenticando l’operato e il merito dei cosiddetti “vecchi”. Con loro se n’è andato l’entusiasmo, il sentimento di appartenenza. Il lavoro è diventato solo un mezzo per tirare avanti e non uno degli scopi primari della vita. Nella maggioranza degli operatori si aspetta la pausa settimanale liberatoria da una condanna biblica. Nei discorsi viene escluso l’argomento “lavoro” se non per parlare di incentivi e diritti. Per ognuno di questi principi voglio raccontare un episodio. Nel 1955, purtroppo, mi ammalai gravemente. Malattia che mi rese inabile al lavoro per diciotto mesi. Ebbene tutte le settimane, a turno, i miei colleghi mi facevano visita portandomi libri, riviste e soprattutto compagnia.

Non solo, fu il mio capoufficio che mi portò da Milano a Varazze dove vi era il convalescenziario. Nel 1958 un incidente stradale mi procurò una frattura che mi avrebbe costretto ad una invalidità e assenza dal lavoro. Allora ero inquadrato nella categoria “3^ A”, uno dei primi scalini della carriera lavorativa. Fu in quel frangente che il responsabile degli Impianti Interni Speciali (IIS), Ing. Pozzi per due mesi mi portò avanti e indietro da casa al lavoro per evitarmi un periodo di aspettativa senza stipendio. Sapete eravamo nella esecrata fase del “paternalismo”!

Ancora: ebbi la necessità di dover operare mia madre per una grave patologia. In quel frangente fu la mitica Signorina Lani addetta della mutua interna che presentò il problema all’allora responsabile dell’Ufficio Personale e della Mutua interna, Cav. Giordani, che mi concesse il libretto provvisorio per consentirmi di risolvere il problema e mia madre fu sottoposta all’intervento in una clinica prestigiosa di Milano. Infine, e chi mi conosce sa di cosa parlo, tutta la SIP di Bergamo dal Direttore (al tempo Ing. Polenghi) all’ultimo degli umili colleghi parteciparono al dramma che colpì la mia famiglia aiutandomi sia economicamente che moralmente. E tutti, proprio tutti furono per me fratelli. Ecco perché faccio parte della ALATEL Seniores.

Loris Mondazzi

a Bergamo: “Ol Terù de Cesena - pubblicato nel settembre 2015 su “Ritrovarsi”

A.N.L.A. Bergamo